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.....E SE FOSSE PUBALGIA..?

La pubalgia è una sindrome molto diffusa, colpisce Calciatori, tennisti, persone che praticano equitazione, o ciclisti, o chiunque pratica uno sport in cui vengono sollecitate le gambe. Naturalmente può colpire anche chi non pratica sport in modo professionistico, e spesso in questi casi, la causa va ricercata in altri fattori come squilibri posturali. Le cause, sono davvero tante, ma in generale parliamo di una patologia da sovraccarico. Infatti per comprendere bene questa patologia, è importante analizzare il distretto anatomico ed il suo funzionamento.

L’osso pubico ha la sede in cui si inserisce il muscolo Adduttore, (vedi figura), e il retto dell’addome. Questi muscoli sono davvero molto forti, e continui traumi ripetuti, determinano delle microlesioni e l’insorgenza di processi infiammatori.

Anche in questo caso (come per lo strappo) la pubalgia viene classificata in diversi gradi:

Grado 0: è un dolore leggero che viene messo in evidenza alla palpazione, ma che non da problematiche alla deambulazione

Grado 1: è una pubalgia, che il paziente avverte, solo quando prova a praticare lo sport, ma che passa dopo aver terminato. È il grado più sottovalutato, in quanto la maggior parte delle persone tendono a sottovalutare la sintomatologia.

Grado 2: Il dolore persiste anche dopo la pratica sportiva, e il paziente lo avverte anche camminando normalmente. Parliamo qui di un grado importante di infiammazione che va curato immediatamente per evitare che peggiori e passi al grado successivo

Grado 3: in questo grado il paziente ha un dolore che gli impedisce anche solo di camminare. Il dolore è molto forte, e sopratutto, tende a non risolversi neanche con gli antinfiammatori. I tempi di recupero sono molto lunghi e non sempre le cure rispondono in maniera soddisfacente, limitando molto l’attività sportiva anche per mesi.

Esiste una particolare variante della pubalgia che colpisce le donne in gravidanza, in quanto man mano che aumenta la dimensione del feto, si ha una retroversione del bacino con conseguente iperlordosi, che determina una di quelle condizioni che favoriscono l’insorgenza della patologia, oltre ad uno stiramento della muscolatura dell’addome. Inoltre man mano che la gravidanza procede, il corpo secerne un ormone chiamato Relaxina che tende a rendere le articolazioni più morbide ed elastiche, tra cui la sinfisi pubica che sarà molto importante durante il parto.

La diagnosi è quasi sempre di tipo clinico, il medico,fisiatra e/o fisiioterapista durante la valutazione testa la zona dolorosa, ed esegue dei test, per mettere in evidenza se il dolore proviene mediante la stimolazione contro resistenza dell’adduttore o del retto dell’addome. La palpazione è molto importante e spesso aiuta a fare diagnosi differenziale con l’ernia inguinale.

Si possono effettuare degli esami diagnotici per avvalorare la diagnosi, si può prescrivere una ecografia, ed una risonanza magnetica, che generalmente mettono in evidenza uno stato infiammatorio più o meno severo.

Purtroppo più il grado è elevato, più sarà difficile guarire e maggiore il tempo richiesto per risolvere del tutto il problema.

LO STAFF FISIOTERAPICO DI FISIOGEA CONSIGLIA:

Prima di tutto dopo una valutazione attenta va considerato, come già detta la stadiazione.

Certamente, il riposo è la prima accortezza da seguire. Quando si parla di riposo, intendiamo dire la totale astensione da ogni attività sportiva agonistica e non agonistica.

Se vi trovate nel grado zero, probabilmente basterà un riposo di circa una settimana, associato a impacchi di ghiaccio sulla zona dolente . Può essere utile un massaggio eseguito da personale fisioterapico alla zona con una crema antinfiammatoria, seguito da esercizi di stretching .

Se vi trovate invece nel grado 1, allora la situazione è più complessa, e va considerato il problema in maniera più completa. I soggetti che si trovano in questo stadio tendono a commettere un errore classico: sottovalutano la problematica e “Stringono i denti”, convinti che il dolore per magia scomparirà da solo. Purtroppo per voi, non è così e anzi avete creato i presupposti per allungare i tempi di recupero. Se non verranno prese in considerazione le giuste precauzioni, si passerà facilmente al grado 2 o addirittura al grado 3, con tutti i problemi che ne conseguono.

Sia il grado 2 che il grado 3, sono la normale evoluzione di una pubalgia iniziata in maniera semplice, ma degenerata fino a divenire un problema cronico.

Il fisioterapista deve analizzare la problematica da varie angolazioni, e scoprire la causa che ha generato il problema.

I trattamenti che consigliamo sono:

Onde d’Urto: il trattamento elettivo, di maggiore efficacia e con maggiore possibilità di successo. In campo internazionale esistono decine di protocolli, molto efficaci e sopratutto validati. Parliamo di un trattamento che necessita di una/due sedute ogni settimana. Le onde d’urto sono una sorta di benefico “micro-idromassaggio”, in grado di promuovere una serie di reazioni biochimiche e cellulari, responsabili, in ultima analisi, dell’effetto terapeutico. Ogni seduta dura pochi minuti, ed il beneficio è apprezzabile in alcuni casi già dopo la prima seduta.

Tecarterapia: La diatermia è una tra le terapie molto in voga e sopratutto molto efficace. Viene associata alle onde d’urto, e insieme possono favorire il processo di guarigione

Laserterapia: La luce laser, rappresenta una tra le maggiori cure possibili per la pubalgia. Da sola non basta però a risolvere il problema, ma anzi fornisce un risultato maggiore quando viene impiegata assieme alle altre due terapie sopra descritte (Onde d’urto e Tecarterapia). È importante chiarire che la laserterapia è efficace se parliamo di laser ad alta potenza superpulsati (quello in nostra dotazione) o laser NdYAg, che hanno frequenze e potenze elevate in grado di innescare il processo riparativo.

Le terapie sopra descritte rappresentano le Terapie di elezione per la cura della pubalgia, ma va detto che il loro successo è dato se associato al riposo, e allo stretching della muscolatura coinvolta eseguito sotto la stretta sorveglianza del fisioterapista. Se durante l’analisi, si dovesse riscontrare un deficit muscolare a carico di uno distretto muscolare, sarà cura del fisioterapista cercare di riequilibrarlo, non appena la sintomatologia dolorosa sarà scomparsa.

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